Onorevoli Colleghi! - Le imprese hanno un ruolo rilevante nello sviluppo economico e sociale del territorio. Una politica industriale che promuove, anche attraverso contributi pubblici, la capacità di innovazione, di qualificazione e di diversificazione delle produzioni, favorisce indubitabilmente il «sistema Paese». Si ritiene però che qualsiasi politica di sostegno alle imprese perda la sua efficacia se non pone a queste stesse vincoli sociali nel medio e lungo periodo.
      La globalizzazione, il progresso tecnologico e la riduzione delle barriere nell'ambito dell'Unione europea, pur agevolando gli scambi internazionali, determinano in crescente misura fenomeni di delocalizzazione delle unità produttive.
      Le conseguenze di tale fenomeno sono la perdita di posti di lavoro, incidenti legati al mancato rispetto delle norme sulla sicurezza e l'aumento delle forme di precarizzazione dei contratti. Contemporaneamente va rilevato che gli aumenti dell'orario lavorativo o la riduzione della qualità delle condizioni di lavoro sono ottenuti agitando lo spauracchio della localizzazione. I costi che vengono pertanto a determinarsi sono enormi sia in termini economici sia in termini sociali. Il dato, che emerge dall'analisi del fenomeno nell'ultimo decennio, è che tali effetti negativi

 

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sono riconducibili anche ad imprese che hanno ricevuto, in qualche forma, sostegni pubblici.
      La stessa politica regionale europea ha costituito un incentivo involontario al rischio di delocalizzazioni. Con la risoluzione 2004/2254 (INI), il Parlamento europeo ha tracciato un piano di intervento per la Commissione teso all'adozione di provvedimenti al fine di «evitare che la politica regionale europea possa costituire un incentivo alla delocalizzazione di imprese che possa provocare perdite di posti di lavoro» e di sostenere interventi «in ordine alle delocalizzazioni cosiddette invertite, ossia quelle che comportano un deterioramento delle condizioni occupazionali senza trasferimento dell'attività dell'impresa». Il Parlamento europeo chiede altresì «che le imprese che hanno beneficiato di aiuti pubblici - specie in caso di mancato rispetto di tutti gli obblighi correlati a tali aiuti - o quelle che hanno licenziato il personale del loro stabilimento d'origine senza rispettare le legislazioni nazionali ed internazionali, e che procedono a delocalizzazioni all'interno dell'Unione europea, non possano usufruire degli aiuti pubblici per il nuovo luogo di attività e che esse siano del pari escluse in futuro dal beneficio dei fondi strutturali o da quello degli aiuti statali per un periodo di sette anni a decorrere dalla delocalizzazione». Questi sono solo alcuni dei punti politici su cui il Parlamento europeo ha ritenuto di intervenire, a conferma che la delicatezza della questione rende urgenti e inderogabili iniziative legislative.
      Con la presente proposta di legge si intende pertanto intervenire per il superamento del fenomeno delle delocalizzazioni industriali, attivando strumenti idonei ad avviare un processo di omogeneizzazione per l'accesso ai contributi pubblici da parte delle imprese. Il primo degli strumenti individuati è il contratto di insediamento (articolo 1), con il quale si subordina l'erogazione di contributi pubblici alla stipula di accordi a lungo termine nel settore dell'occupazione e dello sviluppo locale. Il contratto stipulato tra il Ministro dello sviluppo economico e l'impresa interessata deve prevedere: il piano industriale dell'impresa; l'impegno al mantenimento delle unità produttive per almeno venticinque anni dall'insediamento nel territorio nazionale, con l'unica eccezione di delocalizzazioni nell'ambito della medesima provincia concordate con gli enti locali; l'assunzione da parte dell'impresa della responsabilità sociale per gli effetti sociali e ambientali riconducibili alle proprie attività produttive e commerciali; l'assunzione dei lavoratori con contratto di lavoro a tempo indeterminato o l'impegno alla stabilizzazione dei neoassunti entro tre mesi dall'avvio dell'attività; la realizzazione con il contributo economico, logistico e tecnico delle amministrazioni locali di strutture di utilità sociale in favore dei dipendenti e della comunità locale. Contemporaneamente si rendono più stringenti, pena la perdita dei contributi e la restituzione della somma percepita, i vincoli che le imprese devono rispettare in materia di sicurezza del lavoro, di mantenimento dei livelli occupazionali e di rispetto degli accordi sindacali (articolo 2).
      Connessi al riordino dell'erogazione dei contributi pubblici nell'ambito del contrasto ai fenomeni di delocalizzazione industriale, i proponenti avanzano due distinte proposte. L'articolo 3 attribuisce al Governo una delega che, al fine di promuovere e di razionalizzare l'erogazione di contributi pubblici alle imprese, individua tra i princìpi e criteri direttivi la determinazione della progressività del contributo per le aziende che provvedono all'incremento effettivo del numero dei dipendenti e alla stabilizzazione del personale precario tenendo conto dei prestatori d'opera svantaggiati e disabili, delle condizioni di vita e di lavoro dei prestatori d'opera migranti e delle differenze di genere, qualora, a parità di condizioni, la scelta ricada su una donna. A ciò si affianca il necessario riordino e coordinamento delle disposizioni vigenti, nel rispetto delle normative comunitarie e delle convenzioni internazionali, in materia di sostegno all'occupazione e di sostegno all'assunzione
 

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di lavoratori svantaggiati e disabili.
      L'articolo 4 disciplina il recupero delle aree industriali dismesse. Oltre che una risposta sociale al pericolo per la salute, per la sicurezza urbana e sociale e per il degrado ambientale e urbanistico, la dismissione di aree industriali rappresenta l'altra faccia della medaglia del fenomeno delle delocalizzazioni. Pur trattandosi di un intervento ex post, l'attività di recupero delle aree dismesse, opportunamente gestita dai comuni, può avere importanti ricadute sull'economia del territorio, portando al superamento del grave pregiudizio territoriale, sociale ed economico-occupazionale causato dalle dismissioni.
      L'articolo 5 istituisce l'Osservatorio per il controllo sulle delocalizzazioni industriali con il compito di acquisire e di monitorare i dati e le informazioni relativi al fenomeno delle delocalizzazioni industriali, nonché di avanzare proposte che neutralizzino le incidenze negative di tale fenomeno.
      L'articolo 6 prevede norme per l'incentivazione e il sostegno dell'istituto dell'autoimprenditorialità collettiva. Con questo istituto, attualmente non previsto dall'ordinamento, si stabilisce la costituzione di forme societarie di tutela sociale che, oltre alla partecipazione di amministrazioni pubbliche locali e nazionali, veda la partecipazione attiva dei lavoratori di aziende in crisi. Considerando le peculiarità e i riflessi socio-economici che le crisi aziendali possono avere, si è scelto di individuare pochi ma decisivi criteri (partecipazione pubblica, coinvolgimento attivo dei lavoratori, apertura di tavoli di crisi aziendale con le parti sociali per la valutazione delle singole situazioni) su cui fondare questo istituto, rinviando a un decreto ministeriale le misure volte a regolare sul piano giuridico ed economico le forme di autoimprenditorialità collettiva.
      L'articolo 7 prevede che entro il 31 dicembre di ogni anno il Governo presenti al Parlamento una relazione sullo stato di attuazione della legge e sugli interventi programmati per l'anno successivo al fine di incentivare le imprese e di sviluppare l'autoimprenditorialità collettiva.
 

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